Storie vere di inquisitori e streghe in Sardegna

Nel 1492, quando Tomás de Torquemada nominò Sancho Marin come primo Inquisitore del regno di Sardegna, le oscure mani dell'Inquisizione spagnola si posarono sull'isola. 

La sede del tribunale locale, inizialmente allestita presso la Chiesa di San Domenico a Cagliari, fu trasferita in un'altra struttura nota come "La Stellada", situata in via dei Giudicati. Il suo scopo era giudicare i cittadini accusati di stregoneria o di altri atti sacrileghi verso la religione ufficiale e costringerli ad abiurare. L'abiura, la rinuncia al proprio credo, era divisa in tre gradi, con il primo, l'abiura De levi, obbligatorio per chiunque fosse sospettato di eresia. Ma anche l'abiura De Vehementi o l'eresia formale, quando l'accusato confessava la propria colpa, erano quasi sempre la conclusione dei processi, con l'avvocato difensore che convinceva l'assistito a confessare sotto la minaccia della tortura o dell'accusa di eresia. Le macabre tecniche di tortura, come il legare i prigionieri ai tiranti, costringerli a bere litri d'acqua, marchiarli a fuoco, o strappare loro le unghie, estorcevano a malcapitato la confessione e la condanna per eresia formale. 

Queste crudeli esecuzioni erano un monito della sinistra influenza dell'Inquisizione sulla popolazione dell'isola.


Sancho Marin


Nelle tenebre ancestrali del '500 sardo, quando la Chiesa aveva il potere supremo e la minaccia dell'Inquisizione aleggiava come un'ombra sinistra, le abiure erano rituali temuti da coloro che avevano deviato dalla fede. Nelle situazioni più leggere, i sospettati potevano presentarsi dall'inquisitore o dal vescovo per espiare i loro peccati. Ma nei casi più oscuri e macabri, l'abiura veniva preceduta dall'autodafé, una cerimonia nota come "dei penitenziati", in cui il condannato, dopo aver ascoltato una messa solenne, veniva esposto all'umiliazione pubblica.

In questa processione funesta, il reo confesso veniva costretto a camminare vestito con un saio e a piedi scalzi, accompagnato da una folla di soldati, membri del clero e rappresentanti della confraternita della Misericordia, nota anche come "della buona morte". Alla fine del percorso, il condannato veniva fatto salire su un palco dove l'inquisitore pronunciava un sermone e si procedeva con l'abiura.

Chi accettava di rinnegare il proprio credo, a patto di non essere un recidivo, poteva essere perdonato dalla scomunica e salvare la propria vita. Di solito l'imputato era sottoposto a pene severe, che andavano dalle preghiere e digiuni, alle multe e confisca dei beni, all'obbligo di indossare il sambenito, fino ai lavori forzati e all'ergastolo. 

Ma per coloro che rifiutavano l'abiura, non c'era speranza: erano affidati al boia e se non si pentivano, venivano strangolati, impiccati e bruciati. Se rifiutavano anche di pentirsi, venivano arsi vivi, una fine terribile e infernale.

Giovanni Sanna

 

Nelle prime epoche dell'Inquisizione in Sardegna, dal tempo di Sancho Marin a Giovanni Sanna, la repressione non fu estrema. Tuttavia, quando l'ultimo, sesto Inquisitore dell'Isola, passò l'incarico a suo fratello Andrea Sanna, vescovo di Ales e Terralba, nel 1522, le catture per stregoneria cominciarono a salire.

Andrea Sanna

Durante l'autodafé tra il 1526 e il 1527, una quantità spaventosa di presunte streghe provenienti da diverse località dell'isola venne condannata al rogo.




Ma nessuno può essere paragonato all'inquisitore Diego Calvo, il più temuto della Sardegna. Secondo documenti antichi, nel 1565, durante l'autodafé in cui Giuliana Trogu, la strega di Baradili, venne giudicata per apostasia, altre ottanta persone furono processate, tra streghe e indagati per superstizioni varie. Alcuni furono graziati con abiura e pene leggere, altri furono torturati e tredici furono arsi vivi in un terribile spettacolo che durò due giorni interi.

Diego Calvo


Il successore di Diego Calvo, Alonso De Lorca, che si insediò nel 1568, non fu così crudele come il suo predecessore, ma comunque fu uno dei più temuti inquisitori dell'isola.

Alonso De Lorca

Nel misterioso anno del 1577, l'oscuro caso di Caterina Curcas, abitante di Castel Aragonès, fu uno dei più notevoli esempi della gestione di De Lorca. Caterina fu processata con l'accusa di essere l'amante delle forze tenebrose che regnano nell'oscurità. Durante gli interrogatori, come spesso accadeva, la povera donna confessò, raccontando di aver incontrato un demone chiamato Furfureddo e di essere stata sua concubina per un periodo di tre anni e tre mesi.


  


La creatura appariva con l'aspetto di un uomo nobile, avvolto in abiti eleganti e di colori sempre vari, e i loro incontri si svolgevano nella "Valle dell'Inferno", un bosco maledetto situato tra Sedini e Castelsardo, dove centinaia di uomini, donne e demoni si riunivano per dare vita a balli selvaggi e orge sacrileghe. Dopo aver confessato e abiurato, Caterina fu condannata a una pena relativamente mite: un anno di prigionia nell'ospedale di Sassari e l'esilio perpetuo dalla sua diocesi. Ma chi può sapere cosa avvenne realmente in quell'oscuro bosco, o quale oscuro destino attendeva Caterina al termine del suo esilio?

Ancora nel misterioso paese di Sedini i documenti ci parlano di una strega di nome Angela Calvia, che fu processata dall'oscuro inquisitore Giovanni Corita, successore di Alonso De Lorca. 

Giovanni Corita

La Calvia confessò di aver intrattenuto contatti orribili con un demone di nome Corbareddu, il più grande e antico tra quelli che presiedevano alle danze infernali nella "Valle dell'Inferno". Con capelli candidi e apparizioni alternanti di nudo e abbigliamento nobile di verde o nero, la Calvia fu condannata all'autodafé il 14 dicembre 1578, con la pena di tre anni di prigionia, confisca dei suoi beni e l'esilio perpetuo dal suo luogo d'origine. La medesima sorte toccò a Caterina Mafulla di Castelsardo, che confessò di aver partecipato al terribile sabba nella Valle dell'Inferno e di aver incontrato anime conosciute tra i morti.

Nel medesimo anno, sotto l'inquisizione di Giovanni Corita, furono processati Sebastiano Zucca di Ortueri, che confessò di aver venduto la propria anima al diavolo e di aver visitato l'inferno, e Anna Collu di Oristano, accusata insieme al frate francescano Martino de Tori, di aver cercato tesori con l'aiuto di Satana.



Nelle tenebre dei tempi, un'ombra malvagia si levò nella figura dell'inquisitore Antonio de Raya, che insediò il suo potere nel 1581, erede della malvagità del suo predecessore. 

Antonio de Raya


Egli si confrontò con una strega di Sedini, che aveva preso parte a riti oscuri nella "Valle dell'Inferno", ovvero Giovanna Porcu, la quale fu condannata nel 1583 dopo aver confessato orrori simili a quelli delle sue compagne. Il 14 agosto dello stesso anno, Antonio de Raya emise una serie di condanne all'autodafé, quasi tutte contro streghe. La tragica sorte toccò a Sebastiana Porru di Gemussi, a Caterina Escofera di Cuglieri, accusata di praticare spiritismo e torturata per aver negato di aver fatto un patto con il diavolo; e a Caterina Pira, di Tertenia, levatrice di professione che confessò di trasformarsi in mosca durante la notte per succhiare il sangue dei neonati. Questa trasformazione in strega era possibile grazie all'uso di un unguento magico che veniva spalmato sotto i piedi e sulla fronte. Anche Antonio Orrù, di Escolca, confessò di aver commesso orrori simili, trasformandosi in coga e mordendo i piedi di due innocenti bambini per succhiare loro il sangue mentre dormivano accanto alle loro madri. 

Queste sono le terribili storie degli inquisitori, un'epoca in cui il Male regnava sovrano.


Il racconto della storia dell'inquisizione in Sardegna segue il percorso tracciato da Gianmichele Lisai nel libro Sardegna esoterica edito da Newton Compton.




Commenti

Post più popolari